Voglio fidarmi che la malattia è anche una proposta.

Nell’ipotesi in cui la malattia è anche un tentativo di comunicazione fra una parte di me e la mia parte razionale e volitiva, un tentativo in cui il corpo dice “guarda che se continui così succederà qualcosa di grave a questa parte di te che ora soffre”, allora la malattia è anche una proposta. 
Una proposta cui sicuramente proverò a resistere, ma che sarebbe saggio anche prendere in considerazione e testare. 
Secondo questa ipotesi, sarebbe raccomandabile che provassi a sperimentare come cambierebbero i pensieri, i sentimenti, il respiro, la vita e il lavoro, a occhi chiusi. 
Senza la vista come divento?
Senza la vista come mi muovo?
Senza la vista come cambia il lavoro, come posso contribuire all’attività della fabbrica?
Potrei provare a bendarmi e fare qualche esperimento. 
Potrei scoprire delle cose. 
Immaginare nuovi modi e nuovi orizzonti. 

Nella misura in cui ho uno spirito combattivo, forse non posso accettare questa proposta.
Ma forse la metafora della guerra è inapplicabile alla malattia.
Non è una guerra, non v’è nulla da combattere, né da resistere.
Sarebbe come se con la mano sinistra volessi combattere la mano destra.
Come se il mio sistema immunitario ammattisse e considerasse nemiche una parte delle
cellule del corpo.
Questa è l’ipotesi che voglio considerare.
La malattia non è qualcosa di diverso da me, non è un nemico da combattere.
La malattia è una perdita di equilibrio, conseguente a un mutamento della situazione, e la
situazione muta continuamente.
Per ritrovare l’equilibrio posso mutare io stesso.
Se mi irrigidisco nella postura iniziale, rinuncio a danzare in armonia con il flusso delle
cose, faccio come i sassi, ma sono un uomo.
In questo senso la proposta di sperimentare la cecità non è un invito ad arrendermi, né a
giocare d’anticipo. Al contrario, è un invito a indagare la contrattura che mi impedisce di
trovare un nuovo equilibrio.
Se i miei occhi cedono è perché ho messo troppo tutto negli occhi, ho poggiato sugli occhi troppo peso della mia azione, come se non avessi una quantità di alternative, come se non avessi altri sensi e altre possibilità di movimento, come se lo spazio non fosse infinito.
Perciò voglio sperimentare come cambierebbero i pensieri, i sentimenti, il respiro, la vita e il lavoro, a occhi chiusi.
Per sciogliere il crampo, per trovare una diversa camminata, per rientrare in armonia con la situazione dell’oggi.

Chiudo gli occhi e mi concentro sul respiro.
Osservo. 
Come inspiro e come espiro, cosa riempio e cosa vuoto, dove sono contratto e dove morbido.
Senza la vista come divento?
Senza la vista come mi muovo?

Non voglio arrendermi o giocare d’anticipo, al contrario: voglio essere elastico e fantasioso, per sciogliere il crampo e trovare un nuovo equilibrio, conservando la vista ma spostando il fuoco.