Voglio condividere questa fantasia che mi turba.
Io sono un quark.
La coscienza è sempre solo la coscienza di un essere elementare.
Miriadi di essere elementari si sono coordinati e la risultante è l’uomo cui appartengo, i suoi pensieri, i sentimenti, ciò che dice e fa; ma tutti gli elementari che sono nell’epicentro del cervello di quest’uomo hanno l’illusione di essere quest’uomo, e anch’io.
Voglio spiegartela.
Perché sento che nei tuoi interstizi c’è spazio anche per questa fantasia.
Tempo fa sono inciampato nell’idea di Federico Faggin, che la coscienza sia una proprietà irriducibile dell’esistente, al pari di massa ed energia.
Il paradigma scientifico attuale non spiega la coscienza, la considera un epifenomeno, qualcosa che si manifesta quando un organismo raggiunge una certa complessità.
Ma come posso davvero immaginare che accada una cosa del genere?
Che dalla materia meccanica ad un certo punto salti fuori la coscienza?
Ad oggi nessuno sa spiegarsi come questo sarebbe possibile.
Dalle origini ad oggi, la scienza non ha fatto un solo passo avanti per comprendere come possa accadere.
Anche perché il presupposto di questa scienza è che esistano solo energia e materia, e che ogni evento sia l’effetto determinato da una causa, senza libertà, senza intelligenza.
Allora, dice Faggin, non è forse tempo di provare a cambiare il paradigma?
Supponiamo che la coscienza sia una dimensione irriducibile della realtà.
Supponiamo che ogni essere elementare sia costituito di energia e coscienza, come due aspetti della stessa realtà.
Supponiamo che la coscienza sia anche libera e intelligente.
Supponiamo dunque che gli esseri elementari, i costituenti dell’universo - quark, elettroni, bosoni, e ogni altro -, siano dotati di energia, massa (alcuni), coscienza, intelligenza e libertà.
Per quanto la libertà sia sempre limitata e relativa, nella misura in cui gli elementari sono miriadi che sgomitano gli uni accanto agli altri.
Intelligenza e libertà degli elementari sono minimi, ma sono riusciti a dirigere il dinamismo caotico dispiegato dal big bang verso sistemi progressivamente più complessi, capaci di manifestazioni di intelligenza e libertà superiori.
Trovo molto più plausibile questo, che non immaginare la coscienza come qualcosa che appare all’improvviso quando un sistema meccanico, sviluppatosi a caso mattoncino dopo mattoncino, incastra l’ennesimo mattoncino a caso.
Ho cercato di immaginare vividamente un universo composto di elementari coscienti.
La questione più ardua da figurarmi era come funzionasse la combinazione.
Gli elementari si combinano insieme a formare composti via via più complessi, fino agli organismi viventi, fino alle piante e agli animali.
Ma alle coscienze degli elementari cosa succede?
Si fondono insieme in una coscienza via via superiore?
Mi sono sforzato in ogni modo di immaginarlo.
Ma non riesco.
Come possono due io unirsi in un io superiore?
Lungo questa linea c’è chi pensa che gli uomini possano imparare a comunicare telepaticamente, ad aprirsi e fondersi gli uni con gli altri, accedendo a un grado di coscienza superiore, all’io dell’intera umanità, e ancora oltre, fino ad entrare in comunione con la Madre Terra, il grande organismo che unisce tutti gli esseri del mondo, e naturalmente ancora oltre.
Non riesco proprio a figurarmelo.
L’alternativa è che le coscienze non si uniscano: restano atomicamente separate.
Dunque com’è che una coscienza diventa dominante sulle altre, diventa la coscienza di quell’organismo?
Potrebbe accadere come negli alveari: le api in qualche modo scelgono una pupa e la nutrono diversamente da tutte le altre, così che quella pupa, invece di diventare un’ape come le altre, diventa la regina e guida l’intero alveare.
Ma non riesco a figurarmi concretamente neppure questa fantasia, non mi convince, e non mi piace.
Mi pare che resti solo un’ultima possibilità: le coscienze degli elementari non si combinano, rimangono separate, minime, semplicissime monadi.
Da sempre l’uomo parla fra sé e sé, come se fosse almeno due; e sente di essere il campo di conflitti, ad esempio fra una parte buona e una cattiva.
Da sempre parla di una “voce della coscienza”, di voci dentro di sé che non sono la propria.
Poi arriva Freud e dimostra che l’uomo è tagliato in due: una parte conscia ed una inconscia.
Poi, negli ultimi decenni, ci sono esperimenti di neuroscienziati, che mostrano come certe decisioni vengono prese da una parte di noi prima che noi stessi ne siamo coscienti.
Addirittura che eseguiamo certi calcoli matematici senza saperlo.
D’altronde tutta la coordinazione del corpo, interno ed esterno, avviene per lo più senza controllo conscio; guidiamo senza accorgercene; impariamo con sforzo e poi affidiamo ogni cosa ad un pilota automatico.
E quando parliamo da dove ci vengono le cose che diciamo?
Le componiamo coscientemente o ci limitiamo ad ascoltarle mentre le diciamo?
E ora che penso, da dove mi vengono i pensieri, come emergono nella mia testa, come si concatenano i ragionamenti, ora che scrivo, non li ascolto e li leggo solo nell’atto in cui li penso e li scrivo?
Alla fine cos’è questa coscienza?
È forse solo un occhio od un orecchio?
Abbiamo sempre pensato che coscienza e intelligenza vadano insieme, che quanto più un organismo cresce in complessità e intelligenza, tanto più sviluppa la coscienza, la allarga, diventa profonda e complessa; invece forse sono staccate, forse la coscienza è solo un occhio, non ha sviluppo, cambia ciò che vede.
Un occhio è piccolo, se vede buio non vede niente, resta vuoto, ma se c’è luce si riempie di ciò che vede, e se vede il mondo si riempie del mondo intero.
Allora la coscienza potrebbe ben essere la coscienza di un elementare.
Se l’elementare è parte di un sasso, sentirà ciò che sentono gli elementari di un sasso: impossibile immaginarselo, ma niente è immobile, tutto vibra vorticosamente, anche gli elettroni di un sasso orbitano freneticamente intorno ai quark del nucleo, certamente sentiranno qualcosa, e avranno qualche grado di libertà - difatti la fisica quantistica ha concluso che non è possibile prevedere cosa faranno.
Se l'elementare è parte del mio piede, sentirà ciò che sentono gli elementari di un piede.
E se è nell’epicentro del mio cervello, allora sente e vede ciò che vedo e sento io.
Immagino debba esserci un epicentro del cervello, che sia un’area specifica o l’intero cervello, ma deve esserci uno spazio-tempo in cui accade la sintesi di tutti gli impulsi che pervengono: gli elementari che vibrano in quello spazio-tempo vivono quella sintesi.
Tutti gli elementari che sono lì.
E quella miriade di elementari che sono lì, ognuno dice io, ognuno sente di essere quella sintesi.
Ed io, che dico io ora che scrivo, sono solo uno di quella miriade di elementari, sono l’io di uno di loro, ma chi scrive davvero siamo tutti quanti.
Per chiarire meglio questa idea ho fantasticato che, se fosse possibile prendere l’elementare che io sono ed estrarlo dal cervello, in quell’istante perderei contatto con tutte le sensazioni e i pensieri che quest’uomo produce, di fatto morirei a me stesso, sarei rigettato nella condizione elementare, priva di linguaggio, di cultura, di possibilità, e tornerei ad uno stato monadico, travolto dalla poga cosmica, trascinato dal movimento incessante dell’aria, in balia dei turbini atmosferici, di forze immense e caotiche scatenate per ogni dove, fino a quando volessi e riuscissi a fare rotta verso qualche nuovo legame, o ne fossi catturato.
Ma l’organismo cui appartenevo, quest’uomo, non cambierebbe in alcun modo, nessuno si accorgerebbe di nulla, perché le sue caratteristiche appartengono al sistema: il modo in cui parla e si comporta, le espressioni che ha, la memoria, la tipicità del suo pensiero, sono tutte caratteristiche del sistema; cioè sono la risultante delle miriadi di individualità elementari interagenti, di cui il sistema è espressione.
Questo è il cuore conturbante della fantasia.
Quest’uomo non sono io: è la risultante di una miriade.
Cui contribuisco come una goccia nell’oceano.
E non sono io che sto pensando tutto questo: siamo noi miriade.
L’intelligenza e la coscienza di un quark del sasso è la stessa di un quark dell’uomo.
Ma la struttura e l’organizzazione dei quark, coordinati in specifici atomi, molecole, cellule, organi, che compongono un uomo, conferiscono al complesso una capacità intellettiva enormemente superiore; e convogliano una quantità enormemente superiore di informazioni alle coscienze dei quark nell’epicentro del cervello.
Cosa che non accade in un sasso, la cui organizzazione è estremamente più semplice, per quanto sempre vorticosa e vibrante della folle vita atomica, ma priva di sistemi di percezione, di nervi afferenti e di un centro di elaborazione.
La vita inorganica è caratterizzata da un grado di coordinamento molto basso, da un forte individualismo, anarchico e monadico.
Altri elementi, appoggiandosi alla relativa immobilità, ripetitività e prevedibilità degli inorganici, hanno deciso di esplorare la vita molto più stravagante e ambiziosa dell’organico.
Hanno rinunciato a parte della propria libertà, e si sono specializzati in attività caratteristiche, nell’orizzonte di un complesso comune, cui riescono a conferire una potenza, un’intelligenza e una libertà superiori alla somma degli individui componenti.
L’intelligenza espressa dai sistemi cresce al crescere della loro complessità.
La coscienza no.
Neppure l’intelligenza cresce davvero; l’intelligenza dell’universo è sempre solo la piccola, ma significativa, intelligenza di ogni minuscolo elementare.
Ma la comunicazione, la collaborazione, l’organizzazione, la specializzazione, il coordinamento, la stratificazione, le ricorsioni, la complessità dei sistemi, fanno emergere un’intelligenza di grado superiore, che dilata la coscienza di ogni elementare riempiendola di complessità.
Esattamente come fa l’umanità quando crea linguaggi, culture, tecnologie che nessun singolo uomo sarebbe capace di produrre.
Questa fantasia mi ha turbato.
Mi sento molto più cauto nei miei confronti.
Mi osservo con un certo imbarazzo, come se osservassi da lontano l’effetto complessivo dell’umanità intera.
Sono sempre stato volitivo, ho sempre creduto di sapere esattamente ciò che volevo, mi sono sempre considerato semplice, chiaro, univoco, non mi sono mai tormentato sulle scelte, ho sempre creduto nel mio istinto guida.
Oggi posso pensare di aver sempre solo seguito l’emergente più forte e dispotico dentro di me.
Oggi mi avvicino a me stesso con maggiore umiltà e rispetto, cercando di fare emergere e di ascoltare le molteplici istanze che mi compongono.
Oggi mi è ancora più chiaro ed evidente che l’umanità può crescere in comprensione e libertà solo nella misura in cui gli uomini imparano a collaborare e coordinarsi in un’armonia sempre più organica, estesa e complessa.
Io, noi, l’umanità e tutti quanti siamo organismi emergenti.