Lo spirito mi sguscia via.

Sono entrata in una nuova epoca della vita.
Lungo il lento processo di smaterializzazione, lo spirito ha preso a sgusciarmi fuori dalle gambe.
All’inizio mi sono spaventata e disperata.
Ora provo ad accettare.
Ma temo come potrà proseguire: già cammino solo col deambulatore.
Temo che soffrirò troppo.
Naturalmente quando trovassi insopportabile la situazione, potrei decidere di chiudere.
Questo è comunque un conforto.

Per altro so che la capacità di sopportazione è estremamente soggettiva: ho vissuto attraverso la tua esperienza una condizione estrema.
Mi sono confrontata con una volontà per me inspiegabile: perché hai sopportato così tanto? che senso ha avuto?
Posso darmi risposte semplici: perché avevi paura di morire, perché eri troppo attaccato alla vita.
O c’era qualcosa di più complesso che evidentemente mi sfugge.
Forse avevi necessità di sgusciare via con un movimento lentissimo, di soffermarti sul processo, di viverlo fino in fondo: diversamente saresti andato via risoluto.
Il punto è che non credo sia utile riflettere su questo, non più che riflettere sul perché a me piace leggere romanzi in lingua e a te saggi storici.
Credo sia molto più utile domandarmi: che cosa ho ancora da fare qui?

Perciò preferisco immaginare una forma ciclica, come raccomandano da sempre i saggi.
Tornerò di là, vi permarrò quanto vorrò, ma poi inevitabilmente, ciclicamente, pendolarmente, tornerò a desiderare di rimaterializzarmi in questo mondo.
Dunque forse potrei domandarmi: poiché sono ancora qui, fino a quando voglio ancora
stare qui, come posso prepararmi per il prossimo giro di giostra? cosa vorrò fare? di cosa
avrò bisogno? come voglio che evolva il mondo? cosa posso fare perché evolva in quella
direzione? conosco abbastanza bene il mondo? o cosa mi sfugge ancora, cosa posso
studiare, approfondire? come sono capace di agire nel mondo? come posso crescere in
efficacia? quali domande posso pormi?

Se da un lato è bene che prenda atto dello stadio di smaterializzazione a cui sono giunta, e quindi delle nuove limitazioni alla mia azione nel mondo, dall’altro voglio dare atto che sono ancora qui e che le possibilità di azione che mi rimangono sono pur sempre infinite.
Quando mi trovo di fronte a un muro provo un moto di ribellione, vorrei abbatterlo quel muro, trovo che sia una violazione inaccettabile alla mia libertà; ma basta che gli volti le spalle e constato che lo spazio è, per natura, infinito.
Purché non voglia fare proprio quello che non posso fare.
Allora credo sia essenziale domandarmi: che cosa voglio e posso ancora fare qui?

Da questo punto di vista ho sempre accolto con un certo disagio la fede in un eterno aldilà.
Perché sembra svalutare questo mondo in cui siamo.
Se svaluto tolgo senso.
Se tolgo senso rinuncio a dare un senso.
Se non do senso non trovo senso.
Un mondo senza senso è come un mondo senza aria: inadatto alla vita.

Non voglio dare tempo ed energie alle naturali paure.
Voglio occuparmi di quel che c’è, non rimpiangere quello che non c’è più, né preoccuparmi di quello che non c’è ancora.
Voglio essere curiosa e ardita.
Voglio meditare, trascendere, essere grandiosa.
Aprirmi.
Lasciarmi andare.
Amare il mondo e tutti voi di un amore attivo e strabordante.
Scorrere impetuosa.
Vi bacio e vi abbraccio.
A presto!