Sono entrata nell'ultimo tempo.

Non so bene quando è accaduto, ma l’ho saputo chiaro quando è morto il compagno della mia vita, pochi mesi fa. 
Finché ci sostenevamo a vicenda, riuscivo ancora a immaginare una direzione, a trovare ogni giorno qualche infinitesima motivazione per un guizzo di volontà ed energia.
Oggi non più.
Non ho più niente da fare, non ho più voglia, non ho più forza. 
Voglio uscire di qui.

 
Siedo con la schiena dritta, chiudo gli occhi e respiro profondo. 
Rilasso la fronte e sposto lo sguardo, dagli occhi chiusi, al punto di mezzo, in mezzo alla fronte, apro il terzo occhio: penso, e guardo i miei pensieri con l’occhio in mezzo alla fronte. 


Dentro di me ci sono molte cose. 
C’è la volontà, che muove il corpo. C’è l’anima, che è la vita dei sentimenti. E c’è lo spirito, che è quella facoltà che Platone chiama intelletto, che intuisce le idee e vive in esse, il pensiero puro. 
Mi sollevo oltre il corpo e i sentimenti, e penso imperturbata.
Guardo le cose da molto in alto e molto lontano.

 
Platone usa questa immagine: che quando uno spirito decide di scendere sulla terra gli vengono dati due cavalli, uno bianco e uno nero; il cavallo nero tira sempre verso il basso, quello bianco sempre verso il cielo; lo spirito tiene le redini, e impara a condurli per scendere sulla terra e muoversi nel mondo.
Se non voglio più vivere, devo frenare il cavallo nero e lasciare briglia al bianco: così potrò tornare in cielo. 
È questo che mi resta da fare, ora che sono entrata nell’ultimo tempo. 

Ogni età ha le sue forze, le sue verità, e i suoi fini. 
Ogni passaggio richiede un cambio di paradigma.
Ma io mi muovo ancora e giudico le cose secondo la prospettiva dell’età adulta, mentre oggi sono una vecchia che quasi non cammina più, il mio amato mi ha preceduto nella scalata al cielo, e mi dispero. 
Vorrei seguirlo il prima possibile, trovo insopportabile non avere più il pieno controllo sul corpo, nulla mi dà più piacere nella vita, nulla mi resta da fare, ma continuo a riempire la mente di pensieri pratici, a cercare l’efficienza come fine ultimo, a stipare ogni cosa nelle ventiquattro ore che ho a disposizione, a parlare e straparlare di ogni sorta di questioni quotidiane: non do alcuno spazio al cavallo bianco, continuo sempre e solo a lasciarmi condurre da quello nero; non mi apro a nulla di celeste, continuo a correre a folle velocità, con la sola speranza che quanto prima incontrerò un muro su cui schiantarmi, per essere istantaneamente ricatapultata in cielo.
Per di più, continuo a proteggermi, faccio le vaccinazioni, ingurgito una quantità di farmaci, e se qualcuno ha qualche sintomo non lo incontro, o mi barrico dietro la mascherina. 
Voglio morire, ma mi difendo da ogni possibilità; vorrei morire sana, di schianto, ma mi aggrappo con le unghie e coi denti alla vecchiaia, prolungandone l’azione degenerante.
Lo faccio perché ho paura. Dico che non ho paura della morte, ma evidentemente di morire sì. 
Ho paura di quanto potrò soffrire e di quanto tutto potrà sfuggire al mio controllo.
Perché mi sento un’anima prigioniera di un corpo, su cui è palese che sto perdendo il controllo.

Sono prigioniera ma posso sempre distruggere la prigione: gettarla dal quinto piano, o spalancarla con i barbiturici.

Non me la sento, non voglio.
Potrei smettere di mangiare gradatamente, far scivolare via le forze piano, dolcemente.

Non è questo il punto.
Finché voglio morire è perché sono ancora troppo attaccata alla vita, e disperata, e non c’è via d’uscita. 
È che mi lascio ancora portare dal cavallo nero e non ho confidenza col bianco.
È importante che ora io compia un passaggio, per evitare di soffrire vieppiù, restando aggranfiata alla vita, invece di voltarmi risoluta e tuffarmi in cielo.
La vecchiaia è il tempo del distacco. 
Ora sono chiamata a diventare spirituale in terra.
Pur avendo ancora un corpo e un legame egoico, è importante che ora inizi a distaccarmi; guardando le cose da una prospettiva sempre meno personale, sempre più universale, dall’alto, da lontano, contestualizzando nella complessità stellare questa piccola vita.
Ho bisogno di libri sacri, ho bisogno di trovare voci che parlino la mia lingua e sappiano toccare le mie corde: cercherò. 
Ho bisogno di occuparmi degli altri, non più di me, voglio lasciarmi andare via, diventare trasparente a me stessa, dileguare le mie pareti e avere occhi solo per il mondo, fino a sciogliermi in esso: proverò.