Sta per iniziare qualcosa di nuovo.

A sedici anni, cresciuto ateo figlio di atei, sorridevo di chi pensava che la perfezione meravigliosa della natura sia prova che Dio esiste.
Oggi sorrido di quel sedicenne che riteneva plausibile il paradigma meccanicistico, che quattordici miliardi di anni di scontri casuali abbiano generato questa meraviglia. 
Oggi vedo chiaro che la forza di gravità, l’elettromagnetismo, fotoni, bosoni e quant’altro sono più “metafisici” di qualunque angelo.
Oggi sono stupefatto dell’inaudita, inconcepibile, complessità del tutto.
Trovo semplicistico, inspiegabile e difficilmente sostenibile pensare che dalla complessificazione di strutture inorganiche siano improvvisamente scaturite coscienza e intelligenza, come epifenomeni.
Ritengo più sensato postulare l’irriducibilità di coscienza e intelligenza, al pari di spazio, tempo, materia ed energia.
Come dubitare che l’intelligenza che sperimentiamo in noi stessi, e che vediamo tutto intorno a noi, sia la stessa che in altri gradi e in altre forme è presente anche nei gatti, nei bruchi, nelle amebe, nei fotoni e bosoni?
Come pensare che non sia così?
Che anche un alito di vento, un fremito elettrico, non siano manifestazioni delle stesse forze che chiamiamo in noi coscienza?

Osserva questo ammonite.
Che ha quasi la tua età, almeno 60 milioni di anni, ma potrebbero essere anche 400.
C’era dunque un cefalopode, una forza capace di dare una certa forma organica agli elementi per trarne vita, e capace di assemblare carbonio e calcio in aragonite per costruirsi una casa a spalla, vita che organizza materia inerte intorno ad una spirale di crescita, la cui splendida armonia si riflette in numeri perfetti.




Quando l’equilibrio sempre spinto in avanti lungo l’inarrestabile spirale di mutazioni della vita si sfaldò, fino a dissolvere quella potenza vitale, il corpo organico fu disintegrato, mentre il corpo inerte, la casa a spalla, si adagiò sul fondo del mare e fu segno, traccia sepolta dai sedimenti, compressa fra le rocce, infiltrata per milioni di anni dal silicio, che si sostituì alle molecole originarie, pietrificando la conchiglia, metamorfizzandola nei cristalli di quarzo che oggi tieni in mano.
Così, del lavoro di una vita, oggi tieni in mano una traccia indelebile e meravigliosa.

Quella stessa forza, quella stessa intelligenza, individualizzata e articolata nel tuo essere specifico e caratteristico, hai saputo svilupparla in una moltitudine di forme. 
Fra le tante, una fabbrica. 
Una fabbrica che produce estensioni meccaniche dei nostri corpi organici. 
Minerali assemblati in congegni che trasformano energia in movimento. 
Tracce indelebili nel flusso cosmico.

Pochi mesi fa ho celebrato i miei cinquant’anni come metà di una vita, mezzo secolo, punto di maturità, e inizio di qualcosa di nuovo. 
Da qualche anno si parla di spostare la soglia della vecchiaia dai 65 anni attuali ai 75. 
Dunque non sei ancora vecchio. 
Questi tuoi 70 segnano l’ultimo lustro di maturità.
In vista del trapasso nella vecchiaia. 
Personalmente sono molto curioso della vecchiaia.
Il mio irriducibile ottimismo me la prefigura in una luce di estremo (in tutti i sensi) fascino. 
Il vecchio saggio. 
Come imprenditore hai imparato a spingere lo sguardo lontano, verso i cinque anni ed oltre.
Dunque è tempo che pensi alla tua vecchiaia, a quel qualcosa di nuovo che sta per iniziare.

Possa questo ammonite essere amuleto di meditazione per il maestro che mi ha insegnato il lavoro, la fabbrica e la meccanica di precisione.
Possa accompagnarlo lungo le volute della sua spirale aurea, fino al cuore di ogni mistero.
Possa egli divenire un vecchio saggio. 

Ti auguro ogni bene.