Non ho mai detto Non piangere a mio figlio quando si è fatto male.
Credo che quando mi faccio male sia bene che lo viva: piango, soffro, se è troppo mi dispero.
Credo sia dannoso bloccare questo processo.
Credo nel potere rimarginante e rigenerante della sofferenza.
Credo che solo passando attraverso tutto il dolore posso continuare a vivere e crescere.
Lutto viene dal latino e significa pianto.
Quando muore una persona che mi è cara, sono in lutto, cioè piango.
Mi fa male, dunque soffro.
Non chiedermi come sto, non chiedermi di non soffrire: lascia che pianga e soffra tanto quanto ne ho bisogno.
Ma, se puoi, non soffrire insieme a me: non farmi le condoglianze.
Credo che subito provi condoglianza, soffri perché io soffro, e poi forse senti che, manifestandolo, alleggerisci il mio dolore, come facendoti carico di una parte del peso: ma non è così.
Se sei capace non farlo, non serve a me né a te.
Ciò che può aiutare me che piango è invece il tuo conforto.
Se sei forte e vuoi donarmi un po’ della tua forza, posso giovarmene per sopportare la sofferenza, per non rimanere schiacciato dalla sofferenza, e per tornare a sollevarmi quando esaurisco le lacrime.
Se voglio portare conforto non dico Fatti forza, sii forte, coraggio.
Se voglio portare conforto mi avvicino e dico Sono qui. I miei pensieri, le mie energie e il mio tempo sono a tua disposizione. Ti sto vicino. Appoggiati.
Un po’ della mia forza passerà a te per contatto e induzione.
L’imperscrutabilità della morte fa molta paura, al di là di qualsiasi fede.
Così tendo a sentire la morte come il peggiore dei mali.
E quando muore chi mi è caro una parte di me sente che gli è accaduto il peggiore dei mali.
Una misura del dolore che provo è perché non potrò più incontrarlo, un’altra è perché sento che gli è accaduto qualcosa di tremendo e irrimediabile.
Ma, se ho vissuto la mia vita fino a diventare vecchio, e ho fatto tutto quello che volevo e potevo fare, e ora sono vecchio e stanco e non ho più nulla da fare, non ho più voglia di nulla, ho esaurito le forze, allora è tempo per me di concludere la vita.
Morirò secondo il mio destino, lungo le faglie delle mie fragilità, secondo il mio carattere e la vita che ho coltivato, di malattia o incidente o perché il cuore si fermerà, o perché sarà l'ultima mia volontà.
Non sarà facile né bello, così come non è stato facile né bello nascere.
Ma non sarà nulla di tremendo, in sé.
Sarà l’uscita.
E l’uscita va applaudita.
Ecco, quando muore un vecchio, io credo dovremmo fare festa, rendere omaggio alla vita conclusa, al lavoro compiuto.