Mia madre non mangia più.

Ha smesso qualche giorno fa, e ha chiesto le gocce per dormire, che non aveva mai voluto prima: ora le chiede ogni sera.
Non esito a interpretarlo come decisione di concludere la vita.
Nel vuoto in cui si trova, nell’incapacità di trovare più alcun interesse per la vita, mi pare una decisione sensata.
Ho la sensazione che drammatizziamo un po’ troppo sul fine vita, che meglio sarebbe coltivare un sentimento più sereno, più indifferente al quanto si è vissuto, che tanto non sembra mai abbastanza, più accogliente nei confronti di questo passaggio così continuo ed essenziale, sebbene inconoscibile. 
È priva di forze, è stravolta e vizza, sussurra frasi sconnesse, respira male, è vuota, è abbandonata. 
Ma il geriatra che ho chiamato, perché cos’altro potevo fare se non chiamarlo, non può che prescrivere succhi ricchi di ogni nutriente necessario, antidepressivi e ossigeno, visto che l’ho chiamato. 
Ed io non so esimermi dal somministrarglieli, per quanto sia evidente che vado contro la sua decisione.
Fossero cent’anni fa, o anche oggi ma in una regione o economia meno farmacologizzata, la questione non sussisterebbe.
Ma, poiché qui ed ora la tecnologia è disponibile, se decidessi per mia madre di non farvi ricorso, mi sentirei gravato di una responsabilità enorme, come se avessi deciso di ucciderla.
D’altro canto, ricorrendo ai farmaci, mi sembra di non assumere alcuna responsabilità particolare, faccio quello che chiunque farebbe al posto mio.
Questa è l’irrimediabile illusione ottica: in realtà mi assumo una responsabilità tanto enorme che se mi astenessi dall’intervenire.
In entrambi i casi agisco sulla vita di mia madre e contribuisco a determinarne il percorso.
Siamo dipendenti gli uni dagli altri, e sono irrimediabilmente responsabile della vita degli altri, sia che agisca sia che mi astenga, sia che decida qualcosa o rinunci a decidere. 
Dunque è giusto che mi senta dibattuto, ed è bene che ci lavori sopra. 
Intanto mia madre, che pochi giorni fa sembrava in procinto di esalare l’ultimo respiro, sembra sia resuscitata, e oggi mi dice: Voglio vivere meglio. 
Una qualità costante della vita è l’incertezza assoluta in cui ci muoviamo: per molti versi non sapremo mai se abbiamo fatto giusto o sbagliato.