Vorrei volare.
Non posso.
Non mi sento meno libero.
Dunque neppure se mi chiudessero in carcere.
Libertà è come l’infinito matematico: possono limitarla in ogni modo, resta infinita, come lo spazio fra 1 e 2.
D’altronde è sempre relativa alla condizione cui sono abituato: qualunque limitazione o ampliamento delle possibilità precedentemente date, la percepisco come una variazione della mia libertà, specialmente se dipende dalla volontà di altri esseri umani.
Se sono cresciuto in campagna all’aperto, ed un giorno i miei genitori decidono di traslocare in appartamento in città, percepirò una diminuzione di libertà, che non avrei mai percepito se fossi cresciuto in appartamento in città.
Se divento cieco è diverso che se nasco cieco.
Se qualcuno mi dice: tu credi di essere libero ma non lo sei, perché causa effetto, perché inconscio, manipolazione, condizionamento, perché sogno, complotto, perché la realtà è un’altra, ti illudono e ti sfruttano, ma non hai scelta.
Se qualcuno mi dice così, ma io non me ne avvedo che è così, non lo sento, allora, sia pure così, cosa importa? Al piano su cui vivo, mi sento libero: perché dovrei occuparmi di piani che non conosco? Quanto è infinito ciò che non conosco?
Mi occupo di ciò che conosco e vivo.
Certo allargo il mio spazio col passare del tempo: lo spazio cambia, cambieranno i miei pensieri.
Ora sono qui.
Ora c’è molta più scelta che trent’anni fa.
Se voglio un telefono, un asciugacapelli, un’automobile, posso scegliere fra una quantità enorme di modelli e marche, posso trovare qualcosa di estremamente vicino al mio ideale.
Non per questo mi sento più libero.
Anzi per certi versi mi sento in dovere di dedicare alla scelta più tempo ed energie di quanto ritenga effettivamente sensato.
Trovo qualcosa di estremamente adatto a me, con una certa fatica, evito la fatica di adattarmi io: ma quale sarà mai la fatica minore? Ma perché poi dovrei scegliere la fatica minore?
E dopo insorge la frustrazione, perché non saprò mai se un impegno maggiore mi avrebbe assicurato qualcosa di ancora più vicino.
Resto libero di scegliere la prima cosa che capita, il mio lamento è banale: maggiori le possibilità, maggiore il discernimento richiesto per non vanificare la ricchezza.
Addirittura, in rete posso trovare tutta la musica del mondo: ma come cercare quella che mi piace in una tale insondabile vastità?
Anche solo in una libreria, come posso decidere che, ecco, voglio leggere proprio questo libro?
Troppa scelta mi paralizza.
Ora posso scegliere di avere figli anche se il mio corpo non può generarli.
Ho diritto anch’io ad avere figli.
Questo è un pensiero che mi turba: perché ho diritto? cosa significa? nelle relazioni come può esistere un diritto? Un figlio non è un bene che spetta a tutti. Non posso avere un figlio. Un figlio mi nasce, ed è una persona in più in questo mondo, con cui entro in relazione, e lui con me, se non può, o non vuole, o non accade, diversamente. Non ho alcun diritto su di lui. Ma invece che nascermi attraverso la relazione fisica con un corpo di sesso opposto, oggi può nascermi attraverso qualche tecnologia.
Con tutti gli orfani che ci sono, potrebbe anche essere un’esagerazione, ma è pure un mio diritto.
Posso anche trasformare il mio corpo, ad esempio cambiare sesso.
Per molti anni ho pensato che anche questa fosse un’esagerazione. Che fosse molto più sensato affrontare la questione su di un piano spirituale: lavorare sulla ricerca di un equilibrio fra il sentimento che questo corpo non mi corrisponde, e la certezza che il mio spirito è l’espressione di questo corpo, e viceversa, dunque accogliere, acconsentire al conflitto, viverlo per tutta la vita, lavorare sul mio interno e sul mio esterno (i vestiti, l’acconciatura, il trucco), ma non sul mio corpo.
Solo poco tempo fa mi sono domandato perché dovrei privilegiare il fatto del corpo di contro al fatto che desidero cambiarlo: perché non dovrei modificarlo, oggi che siamo riusciti a sviluppare una tecnologia che ci permette di farlo, così come da millenni abbiamo imparato a lavorare sull’ambiente? È anche questa cultura. Come scolpire un blocco di pietra, o edificare un’architettura con legno, terra e acqua. È cultura come sviluppare un linguaggio. Trasformare il corpo è tanto radicale quanto trasformare lo spirito leggendo un libro.
Voglio concludere che non è esagerato.
Ma in fondo non penso che ci sia relazione fra la possibilità di scelta e la libertà.
Forse abbiamo dedicato e forse ancora dedichiamo una quantità esagerata di tempo ed energie a pensare alla libertà, se siamo liberi o no, e quanto, e quanto possiamo esserlo di più.
Penso che infine la libertà sia una postura dello spirito, come la felicità, come il senso del sacro, con cui finisce per coincidere: se io sono sacro, in un tutto sacro, allora sono libero, e sento sacra la libertà di tutti gli esseri.
Dunque certamente ritengo sacro e necessario agire nel mondo in modo da realizzare, nella complessità enorme delle relazioni che si intrecciano e vincolano, sottomettono e conseguono, la massima libertà possibile, in ogni istante dello sviluppo storico.
Ma in ogni istante sono già sempre del tutto libero: voglio coltivare questo sentimento.